Al contrario dei mitici piloti che percorsero a tutta velocità il Circuito del Lario, noi aderiamo al motto: piano ma pieni!
Un tragitto sportivo ha sempre il suo fascino. Se poi questo si affaccia sul lago di Como uno dei laghi più celebrati al mondo, passando dalla montagna alle acque, in un susseguirsi di strepitose curve, allora è facile capire quanto entusiasmante sia il Circuito del Lario.
Ma se la storica competizione vide gli albori della mobilità di massa e quindi la necessità di promuove i motori, anche attraverso il mito della velocità, oggi le condizioni sono cambiate. Certo, immutata è l’ambientazione e lo sviluppo delle curve del Circuito del Lario, ma il traffico, le norme della strada e le potenze dei mezzi a disposizione sono tutt’altra cosa.
E allora? Allora vista l’impossibilità di dare fondo ad aspettative sportive, cerchiamo una motivazione differente, che celebri lo storico tracciato in chiave diversa. E quale può essere per l’italico motociclista l’attrattiva alternativa alla manetta se non quella sempre valida, onnipresente e importante della forchetta?
Eccoci dunque lanciati alla scoperta di luoghi più o meno nascosti, lungo il circuito, per assaggiare le specialità di un territorio celebre per la bellezza, ma che andrebbe anche celebrato per i sapori, come abbiamo scoperto nel nostro reportage.
Il Circuito del Lario fu una celebre competizione motociclistica, rimasta nell’immaginario collettivo dei motociclisti. Una sorta di Tourist Trophy italiano, che vide la partecipazione di molte case motociclistiche e diversi tra i migliori piloti dell’epoca. Disputata per quindici edizioni tra il 1921 e il 1939, ancora oggi viene celebrata come rievocazione storica. Lo start partiva da Asso, passando da Valbrona, a Onno arrivava a costeggiare il lago quasi fino Bellagio per poi risalire sull’entusiasmante strada che porta alla Madonna del Ghisallo e ridiscendere ad Asso. Un totale di 36 chilometri da percorrere 6 volte.
Il nostro percorso gastronomico comincia quindi dalla storica partenza. Ad Asso troveremo subito una specialità locale di antica tradizione: i Nocciolini.
Questo prodotto il cui nome è marchio registrato, viene realizzato in due pasticcerie distanti circa un chilometro, una a Canzo e l’altra ad Asso. Quella di Asso ha sede in un’ex farmacia e proprio per questo motivo viene chiamata la Barmacia. Nella Barmacia i vecchi e storici arredi dedicati ai farmaci, ospitano ora le diverse confezioni di Nocciolini, ma anche una variegata serie di dolciumi. Una sostituzione “terapeutica” i cui risultati sull’umore sono senz’altro superiori a qualsivoglia psicofarmaco. Le salette della Barmacia sono tutte graziose e gli arredi sono preziosi mobili realizzati tra la fine dell’800 ai primi del ‘900. Un salto in un’atmosfera Belle Époque arricchito da tanta dolcezza.
Fabbrica dei Nocciolini
Via Giacomo Matteotti
Asso (CO)
Tel. 320 227 3403
Da Asso quindi si imbocca la salita verso Valbrona. La strada regalerà una serie di curve veloci prima di arrivare al piccolo comune del triangolo lariano. Qui troveremo la Macelleria Barindelli Roberto, che lavora e produce alcune prelibatezze. Tra queste da la bresaola, realizzata con l’antica e segreta ricetta del nonno. La bresaola, prodotto tipico dal lago di Como fino alla Valtellina, viene personalizzata da ogni produttore, cosicché è difficile trovarne due uguali. Quella realizzata da Roberto Barindelli è morbida e saporita, tutt’altra cosa da quelle della grande distribuzione. Gli altri prodotti della Macelleria Barindelli Roberto, sono le salamelle, le salsicce pepate e dolci, il salame, oltre naturalmente le carni di macellazione propria.
Macelleria Barindelli Roberto
Via Vittorio Veneto, 44
Valbrona (CO)
Tel. 031 661389
Scendendo verso il lago, le curve si intensificheranno aprendo ogni tanto scorci sulle acque. Dopo alcuni tornanti si arriverà a Onno.
Qui troveremo il Ristorante Al Batel. Le specialità si rivolgono principalmente al pescato del lago. Dagli agoni, pesci di lago, si realizzano i missoltini, dal nome del recipiente misolta. Una lavorazione che prevede un periodo sotto sale, poi l’essicazione all’aria, secondo l’antica tradizione. Il prodotto ha un sapore forte e viene spesso servito con polenta abbrustolita. Tra gli altri piatti il Risotto con il Persico, il Lavarello – altro pesce di lago – alla griglia, il pesce in carpione (fritto e marinato all’aceto).
Ristorante Al Batel
Via G. Garibaldi, 87
Oliveto Lario (LC)
Tel. 351 700 2745
Proseguendo la strada lungolago diventa stretta ma estremamente panoramica. Sulla sinistra si avrà la roccia a strapiombo e sulla destra la costa lacustre su cui ogni tanto si aprirà una spiaggetta. In alcuni tratti ricorda la costiera amalfitana, sia per la vista sull’acqua, seppur con la debita proporzione fra mare e lago, sia per la carreggiata che in alcuni passaggi richiede molta attenzione.
Poco più avanti della svolta per la Madonna del Ghisallo, si trova in una stradina interna la Latteria di Bellagio. Qui dal 1934 si producono una serie di formaggi del territorio, dal latte di mucca conferito da sei soci produttori della zona.
Ecco quindi il Formaggio Magro di Bellagio, poi il Semigrasso e il Grasso, Si tratta di formaggi freschi di cui l’unico invecchiato 4/5 mesi è il grasso.
Tra gli altri prodotti troviamo la robiola, il burro, il Cremino e il Circarlin (con il pepe), ma anche dolciumi, miele e diversi prodotti di piccoli produttori locali. È un piccolo angolo di tipicità casearia, alle porte di una delle località turistiche più in voga al mondo, appunto Bellagio.
Latteria Bellagio
Via Alessandro Volta, 36
Bellagio (CO)
+39 031 950423
Domenico Girardoni
www.latteriabellagio.it
Presa la salita per Civenna, Magreglio, Madonna del Ghisallo, si avranno subito a disposizione una bella serie di tornanti. Ricordando il motto di questo tour: “piano ma pieni”, procediamo con un passo sciolto e costante, ma soprattutto rispettoso dei paesi che si attraverseranno. Alla Madonna del Ghisallo, luogo mitico per i motociclisti, ma soprattutto per in ciclisti, si trova il Santuario e il Museo del Ciclismo. Questo è il punto più alto del tracciato, con quota 754 m, da qui in avanti si comincerà a discendere, con curve sempre più aperte.
A Barni, proprio sulla strada, si trova la Cascina Sant’Angelo, altra meta gastronomica. La piccola azienda produttrice di formaggi, dove si può su prenotazione mangiare, realizza formaggi di capra, gelato fior di capra e salamini, sempre di capra ovviamente. A gestirla la Signora Schillaci Manuela, dottoressa in Scienze Naturali che dopo un lavoro di consulente faunistico (seguendo studi su caprioli, mufloni e cinghiali) passa al lavoro di informatrice scientifica. Realizzando un sogno di serenità e libertà dal 2009 ha intrapreso questo particolare lavoro. Un po’ per l’aspetto cittadino, un po’ per l’estrazione siciliana, Manuela ha dovuto superare lo scetticismo dei vicini, inserendosi poi con successo, e a pieno titolo, nella tradizione della zona. Nel menù di terra della Cascina Sant’Angelo, troviamo il piatto forte: gli gnocchetti con ricotta di capra, pesto di ortiche e noci. Da provare!
Cascina Sant’Angelo
Di Schillaci Manuela
Via Cristoforo Colombo, 62
Barni (CO)
Tel. 334 397 3407
Ancora pochi metri e si trova il monumento commemorativo del Circuito del Lario, siamo dunque nella parte più veloce del tracciato su cui le moto dovevano sviluppare tutta la loro velocità. Basti pensare che, nonostante l’impressionante serie di tornanti stretti, il record sul giro è di 84,101Kmh.
Poco più avanti si trova la Chiesa di Sant’Alessandro, una bella struttura romanica che merita senz’altro una piccola sosta. Qui il sabato l’Azienda Agricola Binda Emanuela espone e vende formaggi di produzione proprio di capra e di mucca, ma anche dei gustosi panini, ideali per una piccola sosta.
Azienda Agricola Binda Emanuela
via Lubert 16
Barni (Co)
Tel. 335 632 5604
stefanodellanoce@virgiglio.it
Meno di quattro chilometri ci divideranno dal rientro ad Asso, ma ci permettiamo di suggerire una piccola e bellissima divagazione non distante dal circuito. Poco dopo la bella chiesetta, si prenderà direzione Lasnigo e poi Crezzo.
Ci saranno da fare un paio di chilometri di strada sterrata per arrivare all’Azienda Agricola Camanin. Qui si realizzano dal latte crudo di capra non pastorizzato, formaggi freschi e stagionati, yogurt e gelati. Ma in questo straordinario luogo, posto sulla cresta della montagna a cavallo tra due versanti con vista sul lago, si può anche mangiare, all’ombra di secolari alberi. È il giusto epilogo di un percorso straordinario, un’ultima meta da raggiungere anche solo per un gelato.
Azienda Agricola Camanin
Località Conca di Crezzo 4
Oliveto Lario (Co)
www.camanin.net
Tel. 349 8715492
Tornando verso Asso si avrà la consapevolezza di aver conosciuto un territorio ricco di tradizione gastronomica, dove in ogni luogo segnalato speriamo abbiate fatto almeno un assaggio.
Ora, per rendere onore ai temerari piloti dell’antica gara, sarà vostro dovere effettuare percorso e assaggi per sei volte, come da regolamento.
Scherziamo, un giro…di assaggi è più che sufficiente, almeno fino alla prossima volta.
La prova di Marco
Cosa ne pensa, della VStrom800 DE già provata dal nostro tester, il nostro compagno di avventura,
Partiamo con una premessa: chi scrive ha avuto la fortuna di possedere una delle prime “dual-sport” apparse nel panorama motociclistico, e una sfilza di successive derivazioni. Parlo della Yamaha XT 600 dei primi anni ’80. Moto crude, con le quali sull’asfalto ci potevi pure andare ma le gomme restavano con una spanna di tassello.
Oggi vi parlo del (gran bel) mezzo con il quale mi sono fatto il giro cultural-enogastronomico del Circuito del Lario e che a mio parere ne è la degna erede: la Suzuki V-Storm 800 DE (è più lungo il nome della moto….)
Vi spoilero subito il finale: moto bellissima, non tanto di estetica – de gustibus – quanto come potente mezzo a due ruote.
Che poi, potentissima non è – 84 cavalli per la precisione – ma rilasciati con il giusto brio.
Il pippotto tecnico vede un comparto propulsivo endotermico alimentato a distillato di residuo fossile liquido funzionante secondo il principio di Beau de Rochas (è un normalissimo 4 tempi a benzina…) con una cilindrata di quasi 800 centimetri cubici, ottenuti dall’accoppiamento di due cilindri da circa 400 cc ciascuno, posti in linea, frontemarcia. Con la particolarità di avere i perni di manovella posti a 270°, così da regalare l’impressione di essere su un bicilindrico a V.
Il motore sembra possedere più dell’ottantina di cavalli dichiarati, non tanto per la forza bruta con il quale spinge, tanto per l’immediatezza e la progressività che regala a partire dai 1.500/2.000 giri sino all’entrata del limitatore, posto oltre i 9.500.
Il telaio si mostra in tutta la sua linearità nel materiale più maschio possibile: acciaio (quasi ferro direi); quindi niente alluminio preformato saldato al TIG e tecnoinvenzioni varie, ma sani tubi tondi che abbracciano il motore e ci collegano le varie parti della moto, dalla forca (delle ottima Showa pluriregolabile) al forcellone posteriore (gestito da un ammortizzatore anch’esso pluriregolabile).
E ora partiamo
Il cambio a 6 rapporti è un burro e, come se non bastasse, è pure coadiuvato da un quickshift veramente efficace nell’innesto della marcia superiore (forse un po’ contrastato in scalata, ma lì, usare la frizione è anche più divertente)
Se il cambio è un burro, la frizione è una margarina, ovvero anche più morbida.
La posizione di guida è semplicemente perfetta. Sia comodamente seduti in sella o in piedi sulle pedane, ti sembra di esserci nato, su ‘sta moto.
Davanti agli occhi si palesa un cruscotto – sorry, una dashboard – con standard di efficacia in linea con l’intero mezzo. Perfettamente visibile sotto il sole, con il sole in faccia o senza sole proprio (ad esempio in galleria, dove passa istantaneamente in modalità “night”) con un bel contagiri stile analogico, un chiaro tachimetro digitale e… un sacco di altre info (insomma cuccatevi la foto sotto per ulteriori chiarimenti).
C’è tutto. E funziona pure.
Nella dashboard sono anche presenti i settaggi, azionabili dal collare vicino alla manopola sinistra, dei vari Traction Control (TC), mappe motore (SMDS) e ABS.
Ora, perché diavolo ci debba essere il TC su un affare che ha solo 80 cavalli resta un mistero per coloro che da almeno un secolo usano il cervello collegato con il polso come controllo di trazione. Ben venga l’ABS secondo il criterio che questo interviene per eventi non sempre dettati dalla nostra volontà, come ad esempio il fesso che ti taglia la strada; ma se hai bisogno di un affare che ti tagli la potenza perché non sei in grado di misurare l’effetto della rotazione della manopola posta alla destra del manubrio, significa solitamente che il fesso sei tu. Almeno per mezzi che hanno una cavalleria “umana” e gestibile come questa V-Storm. So che potrei sembrare politicamente scorretto, ma questa moda di inserire controlli dappertutto, sinceramente, mi ha scassato i gabbasisi.
Visto comunque che gli ingegneri di Hamamatsu la pensano diversamente da me, li ho in ogni caso provati tutti, soprattutto nel breve tratto in fuoristrada. Potrebbero effettivamente servire se guidi sovrappensiero. Ma se guidi una moto senza pensare costantemente a quello che stai facendo (guidare una moto), forse è meglio se ti dedichi ad altro. Detto questo, le differenze si sentono e a qualcuno potrebbero anche piacere.
Eviterò quindi di relazionarvi sul loro andamento, mappe comprese, visto che dopo averli accuratamente testati per almeno 10 secondi cadauno, sono tornato alla posizione 1 (zero effetto TC) e mappa A (full power). Discorso diverso per l’ABS, elemento tecnologico che dalla sua introduzione nel mondo motoristico ha contribuito a migliorare la vita di molti di noi (e a salvarla pure la vita, a qualcuno di noi…) In questo va rimarcata non tanto la possibilità di settarne la soglia di intervento, tanto quanto la possibilità di escluderne la ruota posteriore, condizione utile e necessaria per goderne in fuoristrada sognando di essere Kevin Benavides, o anche solo per divertirsi in modalità bimbominchia.
Su asfalto la 800 DE sembra una bicicletta, scende – abbondantemente – in piega e si risolleva senza il minimo sforzo. E questo nonostante l’anteriore da 21”, sicuramente più votato al fuoristrada. Penso che una parte del merito vada agli pneumatici Trailmax Mixtour, studiati appositamente dai giapponesi di Dunlop per questa V-Storm.
La protezione aerodinamica offerta dal piccolo plexiglas (regolabile con l’ausilio di una chiave a brugola) è valida sino ai 140 kh/h indicati, superata tale velocità comunque la moto non balla o veleggia.
La frenata, oltre ad essere efficiente, è anche rassicurante. E uso il termine in senso esteso, ovvero che po’ esse fero, o po’ esse piuma; dipende se il tuo eroe fosse Kevin Schwant o gradisci adottare la formula di guida del buon-padre-di-famiglia.
Ultima nota il consumo: imbarazzante. Mi ricorda quello del mio Solex. Lo strumento, dopo 170 km di accelerazioni, pezzi di fuoristrada, curve, frenate e tirate, segnava 24 km con un litro. Il tutto usando la moto in versione “Sport Gentleman”(che è due tacche sotto “Street Criminal” e ben 3 tacche sopra Suburban Tourist”).
Non costa neanche tantissimo, bastano 11 biglietti e mezzo da 1.000 euro cadauno.
Alla fine, la domanda che mi pongo sempre dopo aver provato una moto è: la compreresti?
Qua la risposta è: di corsa.
PRO:
tenuta
confort
motore
frenata
handling
CONTRO.
La nuance della tonalità dei bulloni per regolare la protezione in plexiglas non è armocromatica con il giallo del serbatoio.
Marco Cesare Canella: sin dalla nascita viene educato a suon di Motociclismo e Quattroruote e non si riprenderà più; resterà un petrolhead per tutta la vita.
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